AMICO NIKI COMPAGNO VENDOLA
La polemica nata intorno alle parole del leader di Sinistra Ecologia e Libertà, poi in parte smentite, circa il miglior appeal della parola “amico” rispetto al sinistrorso “compagno” sembra la solita questione buttata lì ad uso e consumo degli irriducibili comunisti bolscevichi che ancora tengono in camera il ritratto di Giuseppe Stalin. Ma di banalità in banalità, si rischia di cadere nel ridicolo. C’è un popolo vasto, grande, composto da comunisti, post ed ex comunisti, socialisti, gente di sinistra senza etichette, cattolici progressisti (Prodi, tanto per dire) che a quella parola dà un grande significato. Perché è una parola semplice, che non dà fastidio a nessuno, ma che sottintende qualcosa in più dell’amicizia: è la tensione ideale, il sentirsi parte di uno stesso anelo, è il “condividere il pane” ma anche le sofferenze odierne e le aspirazioni del domani. Non c’è niente di ortodosso, settario o vetero nel non voler abbandonare quel “compagno” che metteva sullo stesso piano il grande segretario di partito con l’operaio della Fiat o il disoccupato napoletano. E’ un modello di pensiero per fortuna sempreverde.
E’ comprensibile che Vendola cerchi di andare oltre, di superare gli steccati, di mietere nuovi consensi. Magari con i ragazzi che su Facebook diventano suoi “amici”, e che in tv guardano “Amici” di Maria De Filippi.
In questa “società liquida” – come direbbe Zygmunt Bauman – fatta di amicizie virtuali e labili, piena di gente che sogna il capo salvatore e con lui brama il rapporto diretto (e quindi spera nell’“amico Nichi”), resta comunque un “nucleo resistenziale” che preferisce gli antichi concetti relazionali di impegno: diretto e personale, senza deleghe. Rapporti franchi e sinceri nei quali si parla amabilmente di politica, della trasformazione della società, senza per forza doversi andare a bere una birra con chi la pensa come noi. Per questo motivo era molto meglio il “compagno Vendola”.
Matteo Pucciarelli